17.7.05

Della caverna, l'interno e la morte

"Sono un airone", disse, e dispiegò le ali, immense ali bianche, candide come nevi, e con un leggero fruscio fu un punto nel cielo. Da lassù potevi sentire le risate e i ghigni sottili, guardò solo un istante verso il basso poi picchiò sul sole. "Non volevo rompere il sogno, ma è stato come cadere dalla veglia al sonno, inevitabile, impossibile impedire al mio corpo di volare verso la stella padre". E cadde, cadde, cadde. Le ali frantumate in mille fiammelle, la cera sciolta, "Non c'era cera", mi canzonava anche, da laggiù, dal nero oceano e ne uscì delfino "Sono elegante", disse, e sguizzò nel profondo diventando squalo. Quando i suoi denti dilaniarono un tonno, quasi per caso, quasi per sbaglio, risalì inorridito. "Non volevo, non volevo, è stato come cadere dalla veglia al sonno, non sono stati i miei denti a strappare la carne". E piangendo si seccò e dissolse come scultura di sale. E fu granchio, gioioso di zampettare su punte arancio, color del tramonto. Confuso tra le dune ne scelse una abisso e si perse e strisciò fuori lombrico, rotolandosi nel fango, ma un castello era il il fango e la torre più alta crollò scavata da lunghe gallerie di lombrico. E "non volevo, non volevo" e s'addormentò. Schiuse gli occhi all'alba, fissando il monte, ed era cammello, placido, silente. Masticò i resti del suo corpo lombrico e sciolse le redini correndo verso il monte, ma incontrò un burrone. Precipitando pianse ancora per la sua gobba schiacciata di lì a poco. E piangendo divenne pioggia, sognando di incontrare un fiume. E sparse il sale delle lacrime nell'acqua sottostante trascinato dalla corrente, disperso in una goccia. Intrecciò rami e cespugli e rocce informi al suo fluire e su queste ultime sputò l'anima che fu orso. Gli schizzi lo distrassero dai pesci e rise ancora, rise orso, anche se gli orsi non ridono, così si dice. Ma ridendo e schizzando abbatté un albero piccolo e robusto, con furia da orso, senza capire. "Fu come passare dalla veglia al sonno e i suoi piccoli erano in acqua, urlanti, soli. Non poté nulla, si protese, annegò, nonostante gli orsi sappiano ben nuotare. Ma non era orso, bensì zanzara. E divenne il salmone che la inghiottì, e la lontra che lo sgozzò, e il cespuglio che la imprigionò, e il fiore che ne fiorì, e l'eremita che lo strappò per farne minestra e bellezza dello stomaco. E quando tornò nella caverna, nel buio di questa umidità malsana, dopo mille anni vagando attraverso le forme di una vita imperfetta, domandò riposo. E ristette meditando serio sulla sua altezza. Io socchiusi gli occhi. "Dormi?". Sorrisi. "No. Abbandono la veglia".

1 Comments:

At 18/7/05 18:04, Anonymous Anonimo said...

"..tanto tempo fa, in compagnia di altri esseri, ci guardavamo insieme crescere come spicchi di Luna...", bellissimo

 

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